traduzione
una buona traduzione è quella che non si vede
Diamo per scontato che un traduttore non si lasci ingannare dai “falsi amici”, non traduca ingenuity con “ingenuità”, morbid con “morbido” e sappia che china shop non è un negozio gestito da cinesi. Escludendo gli errori più grossolani, una buona traduzione non può comunque accontentarsi di essere comprensibile e grammaticalmente corretta – il minimo indispensabile! – ma deve essere scritta in una lingua “effettiva”, cioè realmente usata, dando al lettore l’impressione che il testo sia stato scritto direttamente nella lingua in cui lo sta leggendo. In altre parole,una buona traduzione è quella che non si vede.
Un difetto purtroppo frequente, invece, è il “calco” della lingua originale, cioè la scelta del lessico, la costruzione delle frasi, l’uso di idiomi che, pur comprensibili, non sono propri della lingua di destinazione. Una traduzione che “non suona” è frutto il più delle volte di pigrizia o scarsa sensibilità linguistica. La prima oggi è peggiorata da vari automatismi tra cui i software di traduzione che tendono a “copiare” il testo da una lingua all’altra; e se anche nessun traduttore minimamente serio si fiderebbe esclusivamente di quegli escamotage digitali, essi abituano a una traduzione sbrigativa, meccanica e letterale.
Più insidiosa è l’altra pecca del traduttore, l’orecchio poco sviluppato. È ovvio per tutti che bisogna conoscere bene la lingua tradotta, ma non è altrettanto evidente purtroppo la necessità di padroneggiare alla perfezione la lingua verso cui si traduce (correttezza professionale vuole infatti che si traduca solo nella propria lingua madre) e di possedere il dono di una buona scrittura. Due qualità senza le quali forse “ci si fa capire”, appunto, ma non si fa un buon prodotto editoriale.
Qui si finisce inevitabilmente per toccare un’altra questione di rilievo, quella della fedeltà o libertà nel tradurre. Una traduzione dev’essere onesta, cioè rispettare il significato e lo stile originale, risultato che non si ottiene quasi mai con la trasposizione letterale, anche se state traducendo il manuale di istruzioni di una lavatrice. Tradurre significa invece compiere una trasposizione culturale, riconoscere i diversi contesti semantici, cogliere le sfumature, le peculiarità, i giochi di parole di una lingua e riprodurli con efficacia nell’altra. Una traduzione, insomma, soprattutto se editoriale, dev’essere anche bella e spesso una traduzione bella è una traduzione libera, come ricordava Carl Bertrand – autore niente meno che di un’edizione della Divina Commedia in tedesco – con un celebre aforisma, sessista ma efficace: “Le traduzioni sono come le donne. Quando sono belle non sono fedeli, e quando sono fedeli non sono belle”.